
Ci sono storie che ritornano quando il tempo è maturo, non quando le si cerca. Marco Bellocchio lo sa bene: la scintilla per Portobello, la nuova serie presentata fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, è nata dalle lettere che Enzo Tortora scrisse dal carcere alla compagna Francesca Scopelliti. Un carteggio intimo, privato, che ha aperto al regista uno squarcio sull’abisso di uno dei più clamorosi errori giudiziari italiani.
Tortora, volto gentile e insieme altero della televisione italiana degli anni Settanta, era l’uomo capace di catalizzare davanti al piccolo schermo 28 milioni di spettatori, con un programma che dava voce agli ultimi e agli eccentrici: Portobello. Un simbolo di leggerezza e di fiducia collettiva, travolto nel 1983 da un’accusa infondata di traffico di droga, orchestrata da falsi pentiti della Nuova Camorra Organizzata. L’arresto in diretta tv, le manette alzate davanti alle telecamere, la stampa che si avventa con feroce entusiasmo: da lì comincia la caduta di un uomo innocente.
Bellocchio, dopo aver raccontato il caso Moro con Esterno Notte, torna a misurarsi con la memoria collettiva e con il buio della Storia. Non si limita a ricostruire il processo, ma indaga le zone d’ombra: l’umiliazione pubblica, la fragilità privata, il silenzio ostinato delle istituzioni, il desiderio di vendetta che attraversa la società quando un uomo troppo libero inciampa.
Al centro, l’interpretazione di Fabrizio Gifuni, che non imita Tortora ma lo reinventa dall’interno, restituendone la dignità ferita e l’incredulità kafkiana di fronte a una giustizia cieca. Accanto a lui, Romana Maggiora Vergano nel ruolo di Francesca Scopelliti, Barbora Bobulova nei panni della sorella Anna, Lino Musella come il pentito Giovanni Pandico. Un cast che lavora sulla tensione emotiva, più che sulla somiglianza esteriore.
La serie – sei episodi prodotti da HBO Original per la nuova piattaforma HBO Max, in arrivo nel 2026 – nasce con respiro internazionale, ma affonda le radici in un trauma tipicamente italiano: la capacità di trasformare in “mostro” chi aveva incarnato il successo popolare, e poi di consumarne la caduta con gusto quasi barbarico. Un riflesso che non appartiene solo agli anni Ottanta, ma che oggi, nell’era dei processi mediatici e dei social network, risuona con un’attualità inquietante.
“Enzo Tortora è morto di ingiustizia”, ha detto Bellocchio. Forse non esiste formula più semplice e più spietata per riassumere la vicenda. Ma raccontarla oggi significa interrogarsi su quanto siamo cambiati – e su quanto invece restiamo uguali, pronti ad applaudire l’ascesa e a godere della rovina.
Con Portobello, Bellocchio non costruisce un monumento, ma un dubbio. Non celebra l’icona, ma mette in scena l’uomo e la sua caduta. Una storia italiana, fatta di televisione e tribunali, di gloria e di vergogna. Una storia che non smette di chiedere allo spettatore: e tu, da che parte saresti stato?
Bellocchio tells Tortora: a trial, a nation, an unhealed wound
Some stories return when the time is ripe, not when you go looking for them. Marco Bellocchio knows this well: the spark for Portobello, the new series presented out of competition at the Venice Film Festival, was ignited by the letters Enzo Tortora wrote from prison to his partner Francesca Scopelliti. An intimate correspondence that opened for the director a glimpse into the abyss of one of the most shocking miscarriages of justice in Italy.
Tortora, the gentle yet imperious face of 1970s Italian television, was the man capable of gathering 28 million viewers in front of their TV sets with a program that gave voice to outsiders and eccentrics: Portobello. A symbol of lightness and collective trust, swept away in 1983 by a false drug trafficking charge, orchestrated by fake informants of the Nuova Camorra Organizzata. The live arrest, the handcuffs raised before the cameras, the press savaging him with ferocious enthusiasm: from there began the downfall of an innocent man.
After recounting the Moro case with Exterior Night, Bellocchio once again measures himself against collective memory and the darkness of History. He doesn’t simply reconstruct the trial, but investigates the shadows: the public humiliation, private fragility, the stubborn silence of institutions, the desire for revenge running through society when a man too free makes a misstep.
At the center is Fabrizio Gifuni’s performance, not an imitation of Tortora but a reinvention from within, restoring his wounded dignity and Kafkaesque disbelief before a blind justice. Alongside him, Romana Maggiora Vergano as Francesca Scopelliti, Barbora Bobulova as sister Anna, Lino Musella as informant Giovanni Pandico. A cast working more on emotional tension than on external resemblance.
The six-episode series – an HBO Original produced for the new HBO Max platform, launching in 2026 – is born with international reach but rooted in a typically Italian trauma: the ability to turn into a “monster” someone who embodied popular success, and then relish their downfall with almost barbaric pleasure. A reflex not limited to the 1980s, but one that today, in the era of media trials and social networks, feels disturbingly current.
“Enzo Tortora died of injustice,” said Bellocchio. Perhaps no formula could be simpler or more ruthless to summarize the affair. But to tell it today means questioning how much we have changed – and how much we remain the same, ready to applaud success and delight in ruin.
With Portobello, Bellocchio doesn’t build a monument but a doubt. He doesn’t celebrate the icon, but stages the man and his downfall. An Italian story made of television and tribunals, of glory and shame. A story that never stops asking the audience: and you, which side would you have been on?
Photo Credits
PORTOBELLO - Actor Fabrizio Gifuni (Credits Anna Camerlingo)
PRESS CONFERENCE - PORTOBELLO - Fabrizio Gifuni and Marco Bellocchio (Credits Jacopo Salvi, La Biennale di Venezia - Foto ASAC)