
Il sardo — nelle sue molteplici forme, dal logudorese al gallurese — è una lingua che ha la musica nella propria indole. La sua struttura fonetica, la cadenza delle frasi, la densità delle consonanti e la luminosità delle vocali creano un tessuto sonoro che, ancora prima del significato, si manifesta come canto. È un amplificatore emotivo, capace di dare corpo e risonanza a immagini e sentimenti che in italiano rischierebbero di sfilacciarsi.
Cantare in sardo significa aprire un canale diretto con una memoria ancestrale, con una terra che da secoli intreccia riti e melodie. Per questo, nelle mani (e nella voce) di certi artisti, la lingua non è un elemento decorativo ma un vero strumento musicale. Chi ha amato Maria Carta, i Tazenda o le canzoni in gallurese di Fabrizio De André sa bene di cosa si parla.
Poi arriva lei, Daniela Pes, e ribalta il gioco: sembra cantare in sardo, ma in realtà quella lingua non esiste. È un’invenzione, un alfabeto sonoro che mescola antichi lemmi galluresi, frammenti di italiano e fonemi totalmente inventati, fino a creare l’impressione — per chi ascolta — di trovarsi davanti a un canto in lingua madre. Un artificio che non inganna, ma rivela: libera la voce da ogni vincolo semantico e la restituisce alla sua funzione primaria, quella di puro strumento musicale.
La Sardegna, per lei, è casa e radici, ma Spira non è un disco sardo in senso stretto. Pur trasudando provenienza, non utilizza strumenti, armonie o lingua propriamente sarda, né cerca elementi tradizionali riconducibili all’isola in senso canonico. Il linguaggio inventato dell’album nasce da un lavoro di ricerca e di artigianato fonetico, ispirato alle poesie di Gavino Pes.
Formatasi come cantante jazz, con una laurea al Conservatorio di Sassari e una borsa di studio ai Seminari Estivi di Nuoro Jazz diretti da Paolo Fresu, Daniela Pes ha studiato con musicisti come Giovanni Agostino Frassetto, Stefano Bagnoli, Tino Tracanna, Maria Pia De Vito e Marco Tamburini, esibendosi in contesti come Time in Jazz e l’Harp Festival di Rio de Janeiro. Fino ai venticinque anni è rimasta immersa nel mondo jazzistico, ma la sua visione artistica l’ha spinta a cercare nuove forme di espressione.
Il desiderio di sperimentare l’ha portata a partecipare al Premio Andrea Parodi, dedicato alla world music e ai dialetti. In quell’occasione, un regalo — un libro di poesie di Gavino Pes, ha segnato una svolta. Quelle pagine le restituivano la Tempio Pausania della memoria: le faide, i luoghi, un modo nostalgico di amare. In quei versi ha riconosciuto una musicalità capace di diventare materia di lavoro creativo.
Ha così iniziato a smontare e ricomporre le parole, conservando solo i fonemi che le risultavano più musicali e scartando ciò che non le suonava, senza badare al significato. Ne è nato un vocabolario personale: vocaboli destrutturati, radici galluresi, frammenti d’italiano, sillabe brevi ma piene. Una lingua immaginaria che trae linfa dall’improvvisazione jazz e dalla ricerca di un suono “bello” e compiuto. Questa scelta le ha permesso di esprimersi in modo libero, svincolandosi definitivamente dal testo come vincolo semantico.
Spira
Prodotto da Iosonouncane e pubblicato da Tanca Records, Spira è un’opera prima che si muove come materia viva, oscillando fra oscurità e luce, rito e sogno, arcaico e futuribile. La voce di Daniela, nutrita dalla formazione jazzistica, non segue metrica né forma-canzone: si piega, si allunga, si frange, fino a diventare timbro puro, un elemento che si intreccia con elettronica rarefatta, chitarre acustiche e percussioni sintetiche. È una vocalità magnetica e cangiante, che sa essere vellutata o spigolosa, sempre in dialogo con il paesaggio sonoro che la avvolge.
L’influenza di Iosonouncane è riconoscibile ma mai invasiva: la co-scrittura, la produzione e l’arrangiamento amplificano la portata visionaria di Spira senza imbrigliare la personalità dell’artista. Il risultato è un disco coerente, radicale, che sfugge alle convenzioni della musica italiana contemporanea e che, proprio per questo, brilla come una delle proposte più coraggiose e necessarie degli ultimi anni.
Daniela Pes costruisce un linguaggio che non pretende di essere compreso con la ragione, ma che invita a essere abitato con l’immaginazione. È un viaggio in un territorio dove le radici non sono catene ma molle propulsive, e dove la tradizione non è ripetizione, ma continuo atto di creazione. Spira non è solo l’esordio di un’artista fuori dall’ordinario: è una nuova traiettoria per concepire voce, lingua e musica in Italia.
Daniela Pes and the Song of a New Language
Sardinian — in its many forms, from Logudorese to Gallurese — is a language with music in its very soul. Its phonetic structure, the cadence of its phrases, the density of its consonants and the brightness of its vowels create a sonic fabric that, even before meaning, manifests itself as song. It is an emotional amplifier, able to give body and resonance to images and feelings that, in Italian, might unravel.
Singing in Sardinian means opening a direct channel to an ancestral memory, to a land that has intertwined rituals and melodies for centuries. In the hands (and voice) of certain artists, the language is not a decorative element but a true musical instrument. Anyone who has loved Maria Carta, Tazenda, or Fabrizio De André’s songs in Gallurese knows this well.
Then she arrives — Daniela Pes — and flips the script: it sounds like she’s singing in Sardinian, yet the language doesn’t exist. It’s an invention, a sonic alphabet blending ancient Gallurese words, fragments of Italian, and entirely made-up phonemes, creating the impression — for the listener — of hearing a mother-tongue chant. An artifice that does not deceive but reveals: it frees the voice from semantic constraints and restores it to its primary function, that of a pure musical instrument.
For her, Sardinia is home and root, but Spira is not a Sardinian album in the strict sense. Though steeped in provenance, it does not employ Sardinian instruments, harmonies, or language, nor does it seek recognisable traditional elements of the island. The invented language of the album stems from meticulous phonetic craftsmanship, inspired by the poetry of Don Gavino Pes.
Trained as a jazz singer, with a degree from the Sassari Conservatory and a scholarship to the Nuoro Jazz Summer Seminars directed by Paolo Fresu, Daniela Pes studied with musicians such as Giovanni Agostino Frassetto, Stefano Bagnoli, Tino Tracanna, Maria Pia De Vito, and Marco Tamburini, performing at events like Time in Jazz and the Harp Festival in Rio de Janeiro. Until the age of 25, she remained immersed in the jazz world, but her artistic vision drove her to seek new forms of expression.
Her urge to experiment led her to participate in the Andrea Parodi Prize, dedicated to world music and dialects. On that occasion, a gift — a book of poems by Gavino Pes — marked a turning point. Those pages brought back the Tempio Pausania of memory: feuds, places, a nostalgic way of loving. In those verses, she recognised a musicality that could become creative material.
She began dismantling and reassembling words, keeping only the phonemes she found most musical and discarding the rest, without concern for meaning. The result was a personal vocabulary: deconstructed words, Gallurese roots, fragments of Italian, short but full syllables. An imaginary language drawing from jazz improvisation and the pursuit of a “beautiful” and complete sound. This choice allowed her to express herself freely, breaking entirely from text as a semantic constraint.
Spira
Produced by Iosonouncane and released by Tanca Records, Spira is a debut that moves like living matter, oscillating between darkness and light, ritual and dream, the archaic and the futuristic. Daniela’s voice, nourished by her jazz background, follows neither metric nor song form: it bends, stretches, fractures, until it becomes pure timbre — an element woven with rarefied electronics, acoustic guitars, and synthetic percussion. It’s a magnetic and chameleonic voice, at times velvety, at times jagged, always in dialogue with the surrounding soundscape.
Iosonouncane’s influence is recognisable yet never overbearing: the co-writing, production, and arrangements amplify Spira’s visionary scope without constraining the artist’s personality. The result is a coherent, radical work that defies the conventions of contemporary Italian music and, precisely for this reason, shines as one of the boldest and most necessary releases in recent years.
Daniela Pes forges a language that does not seek to be understood with reason but invites the listener to inhabit it with imagination. It is a journey into a territory where roots are not chains but springboards, and where tradition is not repetition but a continuous act of creation. Spira is not just the debut of an extraordinary artist: it’s a new trajectory for conceiving voice, language, and music in Italy.