
C’è un progetto che, senza grandi proclami sta cambiando il modo in cui guardiamo al vino bianco italiano. Un progetto nato dal basso, tra strette di mano e confronti sinceri tra produttori che credono nella forza di un’identità territoriale autentica. “Collio da uve autoctone” non è solo un nome su un’etichetta: è la dichiarazione concreta di un’idea di vino che rimette al centro il luogo, la storia e soprattutto il tempo.
In un mondo del vino che ha spesso insegnato a pensare il bianco come prodotto di pronta beva, il Collio da uve autoctone dimostra invece che eleganza, complessità e capacità evolutiva possono convivere in un calice che sa parlare anche a distanza di anni dalla vendemmia. Anzi, è proprio dopo qualche anno che questi vini riescono a raccontare la loro verità più profonda, con sfumature che emergono grazie a un affinamento naturale e rispettoso, in bottiglia e nel tempo.
Voci diverse, un solo territorio
L’idea alla base del progetto è semplice e al tempo stesso dirompente: realizzare un vino bianco Collio DOC utilizzando esclusivamente le tre varietà storiche del territorio – tocai Friulano, ribolla gialla e malvasia istriana – le stesse che per decenni hanno modellato il paesaggio agricolo e la cultura contadina di queste colline. Un uvaggio tradizionale, certo, ma riscoperto con spirito contemporaneo, per dare vita a una tipologia chiara, riconoscibile e profondamente legata al luogo.
A differenza di molte versioni di Collio Bianco realizzate con varietà internazionali (che il disciplinare pure ammette), qui si è scelto di fare un passo indietro come azienda per farne uno in avanti come collettività. Un vino corale, insomma, dove il territorio viene prima del brand, l’identità prima del marketing.
Coltivare insieme un’idea
Il seme del progetto è stato piantato tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 da Kristian Keber (Edi Keber), Andrea Drius (Terre del Faet), Fabijan Muzic (Muzic) e Alessandro Dal Zovo (Cantina Produttori di Cormòns). A loro si sono presto uniti Buzzinelli e Korsic, seguiti poi da La Rajade, Ronco Blanchis, Marcuzzi, Vigne della Cerva, Manià, con nuove adesioni già in arrivo. Insieme hanno dato vita a una vera e propria “linea” di Collio da uve autoctone, ciascuno con la propria interpretazione, ma tutti sotto un unico messaggio: riportare il Collio al centro della scena, non più come somma di stili aziendali, ma come espressione univoca di territorio.
In questo senso, l’etichetta è tutt’altro che un dettaglio grafico: è un manifesto. Il nome “Collio” torna ben visibile, scritto grande, come si usava un tempo, quando bastava quella parola per evocare eleganza, longevità e personalità.
Ma è nel calice che il progetto trova la sua massima forza espressiva: qui, più che altrove, si coglie come il bianco friulano possa – e debba – essere pensato su una scala temporale più lunga, abbandonando l’idea che solo il rosso meriti l’attesa.
Sarebbe il caso che i produttori, soprattutto nei territori storicamente vocati ai bianchi, iniziassero a interrogarsi più seriamente su questo tema: nessuno mette in discussione la necessità di uscire con dei vini bianchi d’annata e di pronta beva, ma quando ci si trova di fronte a un bianco con un reale potenziale di invecchiamento, ha davvero senso immetterlo sul mercato dopo appena cinque mesi dalla vendemmia? I Collio da uve autoctone dimostrano che la risposta è no. Che il tempo è un ingrediente essenziale, non un ostacolo logistico. E che la longevità, oggi, può diventare un valore comunicabile anche per i bianchi. In questo, ristoratori e comunicatori hanno un ruolo fondamentale.
Un messaggio che matura nel tempo
Dietro al progetto non c’è un’associazione formale, né un disciplinare alternativo. Ma c’è una visione comune, forse ancora più forte. Un’idea di vino che si nutre di ascolto, dialogo e rispetto per la storia. Come ha detto Andrea Drius: «Avremo vinto quando si dirà “beviamo un Collio” e nessuno chiederà di che uva si tratta, ma tutti sapranno cosa aspettarsi».
Non è solo una questione di stile. È un messaggio che va oltre la bottiglia, parla di coerenza, di scelte agronomiche consapevoli (le uve piantate dove rendono meglio, come si faceva un tempo), di valorizzazione del paesaggio, di orgoglio locale.
E se oggi il Collio da uve autoctone può contare su annate invecchiate capaci di raccontare il potenziale espressivo di questi vini nel tempo, è anche perché qualcuno ha avuto il coraggio di investire sulla permanenza in cantina, sulla costruzione di memoria liquida, sull’educazione del palato.
Collio Bianco from Native Grapes: The New Face of Aged Friulian White Wine
There’s a project that, without grand proclamations, is quietly changing the way we look at Italian white wine. A grassroots initiative born from handshakes and honest conversations among winemakers who believe in the power of authentic territorial identity. Collio da uve autoctone (Collio from native grapes) isn’t just a name on a label: it’s the concrete declaration of a wine philosophy that puts place, history, and above all, time at the center.
In a wine world that often views white wine as something to be consumed young, Collio from native grapes proves that elegance, complexity, and age-worthiness can harmoniously coexist in a glass that speaks volumes—even years after harvest. In fact, it's only after some time that these wines reveal their truest character, thanks to respectful, natural aging both in bottle and over time.
Different voices, one territory
The idea behind the project is simple, yet powerful: to craft a DOC Collio white wine using only the three traditional grape varieties of the region—Tocai Friulano, Ribolla Gialla, and Istrian Malvasia. These same grapes have shaped the agricultural landscape and rural culture of these hills for generations. A traditional blend, yes—but rediscovered with a modern spirit, giving rise to a clear, recognizable identity deeply tied to the land.
Unlike many Collio wines made from international varieties (also allowed by the appellation rules), this initiative takes a step back as individual wineries in order to take a collective step forward. It’s a choral wine, where the territory comes before branding, and identity before marketing.
Growing an idea together
The seed was planted between late 2019 and early 2020 by Kristian Keber (Edi Keber), Andrea Drius (Terre del Faet), Fabijan Muzic (Muzic), and Alessandro Dal Zovo (Cantina Produttori di Cormòns). Soon after, they were joined by Buzzinelli and Korsic, and later by La Rajade, Ronco Blanchis, Marcuzzi, Vigne della Cerva, and Manià—with new members already joining. Together, they created a true “line” of Collio wines from native grapes, each with its own interpretation but united by one message: to return Collio to center stage—not as a sum of individual styles, but as a single expression of place.
Here, the label is far more than a graphic detail: it’s a statement. The name “Collio” is boldly printed, just as it used to be when that single word evoked elegance, longevity, and personality.
But it’s in the glass that the project’s vision is most fully realized: here, more than anywhere else, we see how Friulian white wine can—and should—be conceived on a longer timeline, shedding the idea that only red wines deserve to be aged.
Producers in historically white-wine regions might want to reconsider their approach: while no one doubts the need for fresh, drink-now whites, is it truly sensible to release a wine with real aging potential just five months after harvest? These Collio Bianco wines suggest otherwise. Time is not a logistical problem—it’s a vital ingredient. And today, ageability can become a real asset, even for white wines. In this, sommeliers and wine communicators play a crucial role.
A message that matures over time
There’s no formal association behind the project—no alternative rulebook. But there is a strong shared vision. A wine idea grounded in listening, dialogue, and deep respect for history. As Andrea Drius said: “We’ll know we’ve succeeded when someone says ‘Let’s drink a Collio,’ and no one asks what grape it is—because everyone will already know what to expect.”
This isn’t just a matter of style. It’s a message that goes beyond the bottle: about consistency, conscious vineyard choices (planting the grapes where they’ve always performed best), respect for the landscape, and local pride.
And today, as these native-grape Collio wines proudly show what aging can bring, it’s because someone dared to invest in time—building a liquid memory and re-educating the palate.